Le opere di Paolo Pretolani e il loro rapporto con lo spazio e la tradizione.
È aperta al pubblico fino al 10 febbraio 2022 alla marina bastianello gallery la prima mostra personale di Paolo Pretolani (Assisi, classe 1991) Sono proprio io, ma diventato pazzo. Un’occasione preziosa per conoscere i lavori del giovane pittore, così come per riscoprire gli spazi della galleria mestrina sotto una nuova veste: messi completamente a disposizione dell’artista anche per la produzione di alcune opere esposte, si sono trasformati infatti in un luogo di sperimentazione ricco di significativi spunti di riflessione, grazie anche alla collaborazione di Andrea Bruciati, che ha sostenuto Pretolani nella fase finale della produzione e nell’allestimento.
Il primo spunto è quello legato al titolo e al suo potere evocativo, che ci rimanda indietro fino al 1888 quando Vincent Van Gogh pronunciò quelle parole dopo aver guardato il ritratto realizzato per lui dall’amico Gauguin ad Arles.

Nello sguardo
Ritrovarsi nello sguardo di un’altra persona, diventando spettatori di se stessi, può provocare una frattura nella propria unitarietà, o perlomeno in quella che crediamo di percepire quando ci guardiamo allo specchio e ci sembriamo ancora tutti interi.
Ciò che stupisce riguardo la frase rivolta a Gauguin, la stessa scelta da Paolo per il titolo della sua mostra, è che il suo più caro amico lo ritrae mentre sta dipingendo i celebri girasoli, i quali sono diventati, secondo le ricostruzioni dei momenti significativi della sua vita, il simbolo di un periodo piuttosto sereno e spensierato.
Allora perché, quando si guarda, vede se stesso ma diventato pazzo?

I girasoli
Più di un secolo dopo Paolo Pretolani si confronta con lo stesso soggetto, i girasoli, ma ci offre una rielaborazione del tutto diversa e strettamente personale del tema rappresentato.
Il peso della storia e della tradizione che si trascina dietro questo soggetto iconico viene alleggerito da una fessura che l’artista riesce ad aprirsi nella contemporaneità, allontanandosi dal passato e dal citazionismo per rivelarci che qualsiasi cosa può essere vista come se fosse la prima volta, anche i girasoli.
Le sue tele sono ricche di stratificazioni pittoriche che coincidono anche con le stratificazioni temporali dell’atto creativo, infatti ogni dipinto – soprattutto quelli di grandi dimensioni – mostra allo spettatore il flusso continuo della visione, che cambia e si trasforma, fino ad arrivare alla sua veste definitiva, senza tuttavia imporre un’interpretazione univoca. Ognuno è libero di vedere il proprio girasole, un simulacro la cui ripetitività richiama il meccanismo Pop della riproduzione o la semplice raffigurazione di un fiore che nasce in estate e muore in inverno.
L’artista sperimenta con le dimensioni delle opere, quasi tutte di formati diversi, lasciando emergere dai dipinti più grandi la gestualità della sua pittura senza tuttavia mostrarci un tratto violento, ruvido o impulsivo, a differenza del maestro olandese. Paolo, al contrario, ha riservato un’estrema cura alle superfici delle sue tele, deponendo il colore con delicatezza e meticolosità all’interno delle disparate forme assunte dai girasoli. Questo suo cimentarsi con le dimensioni e anche con i colori denota un’attenzione minuziosa nei confronti del soggetto scelto, una conoscenza intima della struttura non soltanto ad un livello estetico e fisico, ma anche immateriale, quasi spirituale. Si potrebbe pensare che questa reiterazione, accompagnata da un continuo confronto con le gradazioni di colore, con i volumi e con la visualizzazione in generale, sia parte di un processo di auto-rappresentazione, come se fossero tanti e diversi autoritratti. Forse è proprio qui, inconsciamente, che Pretolani traccia una linea di congiunzione diretta con Van Gogh, che nei suoi girasoli aveva riposto parte di se stesso e del suo sentire.

Nell’allestimento sono volutamente presenti degli elementi che dialogano con la storia dell’arte e con la tradizione pittorica, proprio con l’intento di smascherare quel meccanismo di rimandi che si sarebbe attivato naturalmente: una sedia di paglia, dei veri girasoli, un tappeto, i colori che ritroviamo sulle tele e tutti gli strumenti canonici dell’artista.
Un altro aspetto interessante, infatti, è che Pretolani si sia fisicamente trasferito in galleria per produrre parte delle opere esposte in mostra, e dunque insieme a lui ha traslocato anche il suo studio.
In questo modo sono venute a coincidere due versioni molto diverse della percezione temporale: lo studio è investito per sua natura di un insieme di tempi verbali che oscillano tra il passato delle opere compiute, il futuro delle idee ancora inespresse e il presente frenetico della creatività. Al suo interno i dipinti sono intimamente legati soltanto all’artista e all’instabilità del suo sguardo, una sorta di vitalità che non persiste – o almeno non nello stesso modo – quando escono e incontrano le pareti bianche della galleria. Qui il tempo cambia, si cristallizza nella visione dello spettatore e consegna l’opera al mondo esterno che ne definirà un valore del tutto estraneo all’artista al momento della creazione.
Pretolani, unendo questi due spazi significativi in un unico luogo, lascia delle testimonianze della sua permanenza nell’allestimento della mostra, delle impronte che ci raccontano quanto sia importante ricordare che l’arte, prima di occupare una qualsiasi superficie, è un processo evolutivo, instabile e soprattutto vitale. Anche quando si fa custode di una qualche forma di pazzia.
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