La Fondazione Pinault presenta Open-end, una personale dedicata alla grande pittrice
La pittrice sudafricana Marlene Dumas è un’artista che divide. Le sue sono tele irriverenti e turbano profondamente chi le guarda, sia per i temi proposti, molto spesso scomodi e inquietanti – come il sesso, il piacere, la maternità e la religione; i vizi come il fumo e l’alcol; o addirittura la guerra, la migrazione, la tortura e la morte – sia per le pennellate veloci, volutamente imprecise e aggressive, ma allo stesso tempo infantili e poetiche.
D’altro canto c’è invece chi ama questa pittura espressionista contemporanea, e ritiene Dumas un’artista coraggiosa che in quarant’anni di carriera non ha mai cambiato il suo modo “scomodo” ma “genuino” di raccontare la realtà. Una donna bianca cresciuta nel nero e difficile Sudafrica ai tempi dell’apartheid, anche se in Europa sin dai tempi dell’università, Marlene Dumas è ormai universalmente riconosciuta tra le più importanti artiste viventi. Tra i suoi estimatori c’è anche il grande collezionista Francois Pinault che le dedica una straordinaria mostra personale nella sede di Palazzo Grassi a Venezia, la più completa mai realizzata in Italia.

Curata da Caroline Bourgeois insieme all’artista stessa, l’esposizione include in un ordine non cronologico la maggior parte della sua produzione dal 1984 ad oggi, che vede oltre cento opere di varie dimensioni: grandi e piccole tele, acquerelli e disegni. Marlene Dumas, ha redatto anche la guida breve che accompagna il visitatore sala per sala: una piccola chicca in cui annota per ciascun dipinto la genesi includendo una riflessione personale, a volte con commenti poetici originali da lei scritti nel corso degli anni, a volte citando i vari autori che ritrae nei suoi dipinti: da Baudelaire a Pasolini a Wilde. Seguendo la guida di Dumas, che ci accompagna per mano, sala per sala, la visita ci porta in un altra dimensione, in cui attimi, pensieri, desideri e paure dell’artista, sentimenti comuni a ciascuno di noi, sono fissati con il colore nell’immobilità della tela, conservando però tutto il loro dinamismo tragico.

Dumas confessa di non avere un unico modus operandi: alcune tele sono nate in poche ore, nel corso di ispirazioni notturne, altre invece sono rimaste in sospeso per dieci anni prima di essere completate. Un aspetto cruciale del suo lavoro è l’uso delle immagini dalle quali trae ispirazione, che provengono da giornali, riviste, fotogrammi cinematografici o polaroid da lei scattate personalmente. “Sono un’artista che utilizza immagini di seconda mano ed esperienze di primo ordine”. Colpiscono ad esempio i crudi ritratti di Marilyn Monroe, che giace ormai cadavere sul lettino dell’autopsia; o la smorfia di dolore di Anna Magnani nel celebre fotogramma di Mamma Roma, immortalato su una piccola tela inquadrandone solo il senso di inconsolabile disperazione.
L’amore e la morte, le questioni di genere e razziali, l’innocenza e la colpa, la violenza e la tenerezza: sono questi alcuni dei temi del suo lavoro, in cui la sfera intima si combina con istanze sociopolitiche, fatti di cronaca o la storia dell’arte. Tutta la sua produzione è basata sulla consapevolezza che il flusso senza fine di immagini da cui siamo investiti quotidianamente interferisca sulla percezione di noi stessi e sulla nostra modalità di leggere il mondo.

Il titolo della mostra infatti, Open-end, ci riporta alla dimensione poetica del messaggio di Dumas: le sue opere sono “open” nel senso che si aprono all’interpretazione di chi le guarda, ma la loro fine, “end”, è fluida e non coincide necessariamente con i significati che noi vi attribuiamo.
Una mostra senza dubbio da vedere, fino all’8 gennaio 2023, ricordatevi di farvi accompagnare dalla guida breve a disposizione gratuitamente.
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