Una mostra collettiva, con opere provenienti dalla Pinault Collection, invita il pubblico a riflettere sul tema dell’icona
Se pensiamo al concetto di “icona”, ci vengono subito in mente due principali significati: uno religioso, perché pensiamo alle immagini sacre, dipinte o scolpite, che rappresentano il Cristo, la Vergine oppure i santi; e uno più figurativo, perché ci fa pensare, ad esempio, a figure o personaggi emblematici di un’epoca. Ed è alla prima accezione che si riferisce la mostra Icônes a Punta della Dogana (aperta fino al 26 novembre e curata da Emma Lavigne, direttrice generale della Pinault Collection, e Bruno Racine, direttore e amministratore delegato di Palazzo Grassi – Punta della Dogana), una vera e propria riflessione sulla capacità che hanno le immagini, e non solo, di rappresentare una presenza e di generare un’emozione.
Da sempre crocevia di popoli e di fedi religiose, Venezia ha raccolto nel corso della sua storia influenze diverse – bizantine, gotiche e fiamminghe – che mettono in luce il grande ruolo di collegamento che la città ha avuto tra Oriente e Occidente. E l’intento della mostra è proprio quello di dedicare una speciale attenzione alla relazione tra Venezia e l’icona, attraverso un percorso di oltre 80 opere, tra capolavori della Pinault Collection, lavori mai esposti prima di quest’occasione e installazioni site-specific di 30 artisti di diverse generazioni, nati tra il 1888 e il 1981.

E se l’icona è un’opera che ti porta in un’altra realtà, Icônes è una finestra verso l’invisibile e un invito a compiere un’esperienza di contemplazione. La prima cosa che salta all’occhio è il gioco luce-ombra che caratterizza il percorso fin dalle prime sale: all’inizio il visitatore è immerso in un ambiente buio, riflessivo, per poi essere accompagnato in sale cariche di luce, dove raccogliersi in meditazione è quasi un atto naturale.
Basta soffermarsi nella sala 4 dove è esposta l’installazione tattile e sonora Prime di Camille Norment, composta da panche di legno che emettono vocalizzi a contatto. Il visitatore entra in uno spazio che sembra sospeso nel tempo, con una finestra che si affaccia sull’isola della Giudecca, che invita all’ascolto e alla contemplazione: il suono trasmesso, infatti, suggerisce emozioni contrastanti che vanno dal benessere alla liberazione, fino al dolore.

Anche l’opera Mothabeng di Dineo Seshee Bopape emana un senso di libertà e bellezza. Composta da materiali terrigeni come argilla, terra, erbe e polvere di marmo, la “cappella” dell’artista sudafricana ricrea uno spazio intimo, dove il visitatore è invitato a entrare accucciandosi. Dalla cupola filtrano bagliori luminosi che si insinuano tra le fessure dei materiali essiccati, mentre i suoni restituiscono le vibrazioni delle rocce derivanti dall’attività industriale di una cava di marmo.

Bisogna poi salire nella torretta dell’antica dogana da mar per raggiungere l’apice della meditazione con l’opera To Breathe-Venice di Kimsooja. Un senso di vertigine e di trascendenza pervade il visitatore, grazie agli specchi disposti al suolo che danno una sensazione di assenza di gravità e alla pellicola trasparente applicata sulle vetrate che diffrange la luce all’infinito. Il tutto viene completato dalla polifonia Mandala: Zone of Zero in cui si intrecciano canti tibetani, islamici e gregoriani, che sono un inno alla massima contemplazione finale.
Che le opere siano luminose o cupe, silenziose o sonore, teatrali o austere, l’esposizione invita il visitatore a fermarsi davanti a ciascuna di esse, a osservarle andando al di là della loro materialità, spiega Bruno Racine nel catalogo della mostra. Con Icônes Punta della Dogana diventa così uno spazio magnetico che attrae, dove si condivide con gli altri l’esperienza della pausa e della meditazione.

LINK
- Icônes a Punta della Dogana, una finestra verso l’invisibile - Aprile 14, 2023
- CHRONORAMA. Tesori fotografici del 20° secolo a Palazzo Grassi - Marzo 17, 2023
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