Biennale Architettura 2023: suggerimenti per un piccolo tour

Come dovremo vivere in futuro? Ce lo spiega la curatrice Lesley Lokko con la sua Biennale e i progetti selezionati.

Se La Biennale Architettura del 2021, quella post pandemica, aveva raggiunto un numero di visitatori paragonabile al volume di persone mosso da Biennale Arte, questa nuova edizione sembra aver ritrovato il suo equilibrio da “sorella minore”. C’è poco da fare, l’architettura attira un pubblico diverso, forse però più interessato rispetto a quello che frequenta il mondo artistico.

Mentre percorrevo gli spazi enormi e bui dell’Arsenale, mi è apparso chiaro che se all’arte non viene richiesto di dare delle risposte ai problemi del mondo, l’Architettura nasce invece con l’obiettivo di fornire delle soluzioni concrete e pratiche alla vita dell’uomo sulla terra. L’architetto incarna su di se delle responsabilità precise e specifiche a cui deve trovare una resa evidente ed efficace. Un lavoro arduo, non trovate?

Visitare tutti i Padiglioni, e farlo attentamente, richiederebbe almeno una settimana, tempistiche non realistiche per un visitatore che ha a disposizione solo un weekend per vedere tutto e magari ritagliarsi anche del tempo per uno Spritz. 
Proverò quindi a tracciare un percorso breve, cercando di selezionare le tappe e i padiglioni che ho trovato più interessanti.

Solitamente preferisco sempre iniziare dai Giardini, questa volta no, e vi consiglio di intraprendere questo piccolo tour della Biennale, partendo dagli spazi dell’Arsenale.

Pavilion of UNITED ARAB EMIRATES, ph. Marco Zorzanello, Courtesy: La Biennale di Venezia

ARSENALE

The Laboratory of the Future è questo il titolo scelto per questa nuova edizione dalla curatrice Lesley Lokko, architetta, docente di architettura e scrittrice scozzese di origine ghanese. Ho trovato molto interessante che per la prima volta, i riflettori sono puntati sull’Africa e sulla sua diaspora, ma non solo, si parla anche di quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo. L’Arsenale si concentra su quelli che sono i due temi dell’esposizione: la decolonizzazione e la decarbonizzazione, creando una visione completa delle pratiche e delle modalità da adottare per vivere in modo nuovo. Il lungo percorso delle corderie è diviso in due macro sezioni: Dangerous Liaisons, un terreno di incontro tra architettura e dinamiche sociopolitiche, e Special Projects, una ricca rassegna di esempi virtuosi per il futuro di tutti noi.

ARABIA SAUDITA

Entrando al suo interno si rimane sbalorditi dalla struttura architettonica che riempie lo spazio. Tutto il padiglione si concentra sulla parola araba “Irth”, che significa ricchezza nel senso di eredità: un qualcosa di prezioso che viene tramandato. I materiali utilizzati per la costruzione ci mostrano la storia di un popolo che ha saputo ascoltare al natura e adattarsi al territorio nel quale si è sviluppato. Il padiglione è un tentativo di tornare alle tradizioni storiche per trovare una consapevolezza nuova, necessaria per guardare al futuro in maniera più rispettosa.

Pavilion of KOSOVO rks² transcendent locality, ph. Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

REPUBBLICA DEL KOSOVO

Quanto e come incide un’ondata migratoria sull’assetto delle nostre città? E quali soluzioni può portare l’architettura per ridisegnare lo spazio urbano? Queste sono le domande che troviamo all’interno di questo padiglione. Il progetto è un’analisi profonda di come il Kosovo sia stato influenzato dalla pesante migrazione che ha interessato questo Paese alla disgregazione dell’ex Jugoslavia.

Pavilion of LATVIA, ph. Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

LETTONIA

Un grande supermercato fittizio costruito con scaffali e prodotti di cartone dove a decidere sei tu. Il visitatore può interagire all’interno di quello spazio ed è chiamato a compiere una scelta, lanciando una pallina bianca. Il potere decisionale torna in mano a tutti coloro che entrano in quel luogo. Uno strano supermercato in cui niente è in vendita e dove gli ingredienti dei prodotti sono innovativi concetti e nobili teorie che nel corso degli anni sono stati citati dalle passate Biennali per poi essere abbandonati come una scatoletta di ceci su uno scaffale.

Pavilion of UZBEKISTAN, ph. Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

REPUBBLICA DELL’UZBEKISTAN

Uno spazio alienante: la mancanza di luce ti disorienta e rende ancora più concreta quella sensazione di spaesamento dettata dal labirinto nel quale ci si immerge. Una struttura realizzata solo con mattoni, che vengono celebrati come i componenti architettonici per eccellenza di questo Paese. Attraversando l’oscurità della storia si arriva alla luce del presente, un passaggio durante il quale il mattone ha subito trasformazioni contemporanee, pur mantenendo le caratteristiche originali.

Pavilion of BRAZIL, ph. Matteo de Mayda. Courtesy: La Biennale di Venezia

Per arrivare ai GIARDINI si deve necessariamente attraversare il PADIGLIONE ITALIA. Il progetto tratta temi nobili e attuali, supportato da una ricerca che mette in mostra più che degli esempi, delle “buone azioni sociali”, ponendo attenzione anche agli ambienti urbani periferici del nostro Paese. Tuttavia, la resa espositiva arranca se messa a confronto con l’assetto teorico.

BRASILE

È lui il Paese vincitore del Leone d’oro per la miglior Partecipazione Nazionale e quindi non si può non andare a visitarlo. Parola chiave: Earth (Terra), intesa come luogo naturale da cui tutto ha avuto origine. Il progetto è un memoriale costruito con la terra, quell’humus fertile dal quale la società brasiliana si è sviluppata e ha creato il suo assetto.

Pavilion of FRANCE, ph. Matteo de Mayda. Courtesy: La Biennale di Venezia

FRANCIA

Un teatro, che sembra arrivare dal futuro, accoglie la pluralità della visione umana. Una struttura capace di ascoltare e accogliere tutti. Una sfera concava che per la sua conformazione non respinge, ma diventa uno spazio che dà ospitalità a ogni individuo. La Francia costruisce un auditorium che diventa un luogo di ascolto e di ricerca sull’identità.

Pavilion of GERMANY, ph. Matteo de Mayda. Courtesy: La Biennale di Venezia

GERMANIA

Il board curatoriale mette in mostra il migliore lato umano: cooperazione, associazionismo, ecologia, riciclabilità e rispetto delle risorse. Lo spazio appare come un grande magazzino, dove effettivamente sono state stoccati e ordinati tutti gli arredi e i materiali recuperati da Biennale Arte 2022. Alla base c’è il concetto di manutenzione di ciò che già esiste, un desiderio di preservare quello che abbiamo creato. Non a caso il progetto tedesco fuoriesce dagli spazi del Padiglione e crea una connessione concreta con le associazioni e le comunità locali di Venezia e dintorni. Il progetto è un grande manifesto per il futuro, dove il pragmatismo tipico della Germania dimostra che la teoria deve sempre essere accompagnata da una pratica concreta e reale.

Pavilion of UNITED STATES OF AMERICA, ph. Matteo de Mayda. Courtesy: La Biennale di Venezia

STATI UNITI D’AMERICA

Una persona, che stimo profondamente, un giorno mi disse: “Il problema non è la plastica in sé, ma come noi la utilizziamo. La plastica è stata un’invenzione fondamentale per la nostra vita”. Una riflessione diversa da quella che siamo abituati a sentire, ma che è in linea con il progetto qui esposto. Il padiglione nasce con l’obiettivo di creare una discussione costruttiva su questo materiale, mostrando come la società e l’economia americana siano legate a questo polimero in una relazione tossica.

Pavilion of SWITZERLAND, ph. Matteo de Mayda. Courtesy: La Biennale di Venezia

SVIZZERA

Neighbours, tutto si sviluppa da questa parola, che diventa anche il concetto chiave dell’esposizione. Partendo dal progetto di costruzione del padiglione svizzero, a firma di Bruno Giacometti, e da quello del padiglione Venezuelano di Carlo Scarpa, si testimonia le affinità progettuali delle due planimetrie. Le strutture si intersecano e inscenano un nobile esempio di condivisione degli spazi. L’architettura diventa quindi un modo per parlare di confini del mondo e barriere nazionali.

PADIGLIONE CENTRALE

Uno spazio dispersivo dove vengono selezionati sedici esempi di architettura africana e diasporica. Secondo la curatrice la visione che è stata data dell’architettura fino a questo momento è una visione parziale e incompleta, che ha ignorato vaste fasce di umanità. Per questo motivo, The Laboratory of the Future vuole essere un modo nuovo di vedere questa disciplina. Imperdibile è sicuramente l’installazione dell’artista Ibrahim Mahana.

Nel complesso quindi? Bella? Deludente? Sarete voi a decidere.

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Alessio Vigni
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