In attesa di un “Nuovo Artista” siamo tutti artisti della “digital art brut”.
Un uomo davanti uno schermo fornisce, attraverso una tastiera, la descrizione di un’immagine a un’intelligenza artificiale text to image che, elaborando tra le migliaia a sua disposizione – a volte reperite in rete senza l’autorizzazione degli autori ma qui si aprirebbe un capitolo fin troppo ampio che merita ben altro spazio -, restituisce una serie di opere rispondenti a un principio di verosimiglianza che ricerca nel “compromesso” la sua estetica. L’uomo interviene qui, a posteriori, adeguando le sue aspettative all’offerta finita del calcolo combinatorio (replicabile, però, un numero infinito di volte!), in quel punto del processo creativo di formalizzazione dell’idea: l’uomo è assente nella produzione, nell’esecuzione tecnica che nel fare umano, dove la forma può farsi sostanza, diventa essa stessa idea.

E’ artista, il faber cui è richiesto solo di fornire un prompt che attraverso l’IA, intendendosi per essa i programmatori che hanno dato vita al sistema informatico, crea un’opera nuova?
Se da un lato, in questo processo di democratizzazione della tecnica dove l’opera-prodotto, non più relegata alla sua funzione sociale, pone l’artista quale mero fruitore del la sua stessa opera che però a sua volta si riappropria del suo valore simbolico – la macchina esclude il processo di “umanizzazione” che la tecnica richiede nel passaggio da modello di concetto a manufatto-, dall’altro, ciò che scompare è l’artifex: nell’era della autoproducibilità tecnica, in cui la pratica non è più limite e proprietà dell’opera, tutti possono essere artisti; e se tutti possono essere artisti allora nessuno è artista. L’ipotesi però è che, esaurita l’impressione per questa improvvida ondata di “digital art brut”, sia necessario riformulare l’idea di artista secondo questa nuova declinazione di Arte senza l’arte. Per far questo, però, è necessaria intuizione, conoscenza e creatività. Ed è indispensabile imparare il linguaggio di questo nuovo e altamente complesso strumento e farne esperienza. Come solo un artista può fare.

In attesa quindi di un Nuovo Artista c’è chi ha già provato a integrare nel proprio lavoro le intelligenze artificiali per sperimentarne le potenzialità: come Davide Quayola che nella sua personale “Ways of Seeing”, fino al 31 maggio presso CUBO Museo d’impresa del Gruppo Unipol a Bologna, presenta video e pitture digitali integrate da algoritmi e software per l’analisi e la manipolazione dei dati. Sono immagini ad altissima risoluzione che mostrano paesaggi naturali che l’artista ha realizzato a partire da una serie di riprese nei mari in tempesta sulle coste della Cornovaglia. O ancora, come Ian Cheng che già nel 2019 presentava alla Biennale BOB (Bag of Beliefs), una meta creatura dotata di intelligenza artificiale “destinata a migrare da una mostra all’altra cambiando continuamente personalità, fattezze corporee e sceneggiatura di vita”.

O come i dodici artisti provenienti da tutto il mondo che indagano sul rapporto tra intelligenza artificiale e arte contemporanea nella terza edizione di Re:Humanism, dal titolo Sparks and Frictions, aperta fino al 18 giugno negli spazi del Wegil di Roma.
LINK
- frankestAIn, ovvero come imparammo a rispettare il mostro - Ottobre 27, 2023
- IA e copyright, la parola al giudice - Settembre 15, 2023
- IA, l’opera nell’epoca della sua autoproducibilità tecnica - Maggio 26, 2023