La creatività sarà soppiantata dall’Intelligenza Artificiale? Alex Israel l’ha provocatoriamente usata per promuovere la sua mostra a Roma da Gagosian e ora qualche dubbio ce l’abbiamo.
Da che mondo è mondo, per gli artisti, che devono affrontare il livello di competizione assurdo imposto dal mercato dell’arte internazionale, ogni mezzo è lecito per emergere e catturare l’attenzione dei media sul loro lavoro.
Recentemente, tra i più bravi, o tra più scaltri, a far parlare di sé va registrato Alex Israel, artista californiano della scuderia Gagosian, noto per la costante esplorazione della cultura visiva di Los Angeles, i riferimenti alla beach culture e la connaturata iconologia del surf, il quale, il 12 maggio 2023, ha annunciato l’apertura della sua mostra Fins presso la sede romana della prestigiosa e famosissima galleria con un comunicato stampa interamente redatto da Chat GPT.

Apriti cielo, il mondo dei professionisti dell’informazione (giornalisti e uffici stampa) è andato in subbuglio, aprendo un dibattito sulla liceità dell’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale nello svolgimento di attività tradizionalmente svolte dall’uomo e considerate ad alto valore aggiunto.
I timori sono molteplici e di varia natura. Da un lato, la paura che l’Intelligenza Artificiale possa letteralmente spazzare via intere categorie professionali che svolgono lavori impegnativi e di norma ben retribuiti. Dall’altro, il sospetto che la presenza sempre più invasiva dell’informatica e delle sue sofisticate applicazioni possa disumanizzare il mondo e contaminare con i suoi tentacoli binari addirittura l’arte.
Sarà possibile? Al momento mi sento di escluderlo, perché l’arte, quando autentica, rappresenta l’ultimo e insormontabile baluardo dell’espressività umana. Essa trae la propria linfa da un nucleo interiore, profondo, istintivo, pulsionale, irrazionale e misterioso che costituisce l’essenza irriducibile dell’uomo ed è, in quanto tale, costitutivamente inaccessibile all’Intelligenza Artificiale; almeno fino a quando quest’ultima non sarà in grado di attingere a un proprio originativo inconscio, il quale tuttavia, essendo, come sosteneva Freud “un luogo al di là del principio di non contraddizione”, sembra essere irrimediabilmente fuori dalla portata degli algoritmi, persino di quelli più sofisticati.

Non so invece dire se addetti stampa, giornalisti, dialoghisti, sceneggiatori e professionisti della creatività e dell’intrattenimento saranno sostituiti dall’Intelligenza Artificiale, nessuno può affermarlo o escluderlo con certezza. La possibilità c’è, come testimonia uno studio uscito nel marzo del 2023 a cura della nota banca d’affari Goldman Sachs, secondo cui nel mondo sono almeno 300 milioni i posti di lavoro considerati a rischio per effetto dell’adozione intensiva di tecnologie AI tipo quelle che hanno portato alla realizzazione della piattaforma Chat GPT.
Certo per i lavoratori della creatività non può non fare impressione constatare i livelli raggiunti dai bot di Intelligenza Artificiale e, soprattutto, realizzare che propri concorrenti non sono solo altri esseri umani più o meno straordinariamente dotati, bensì macchine anche se con tratti spaventosamente (o meravigliosamente?) umani.
Ammetto, non senza un briciolo di vergogna, di essere un utilizzatore di Chat Gpt. Lo uso come fosse un competitor con cui scendere a patti, con un approccio quasi Zen, ispirandomi ai dettami di Sun Tzu, il quale nell’Arte della Guerra suggerisce di partire dalla conoscenza di se stessi, comprendendo le proprie risorse i propri punti di forza e di debolezza per poi procedere a un’analoga analisi dell’avversario.
Indiscutibilmente, Chat GPT è uno strumento di scrittura che può rendere chi se ne serve straordinariamente produttivo; tuttavia non si muove da solo, ma va istruito. Considero la qualità dei suoi testi mediocre, che in questo caso non significa scadente, bensì che sta ‘nel mezzo’, che è standard, senza picchi, adatta a prodotti come i manuali di istruzioni. Per me quella di Chat GPT è scrittura, non letteratura, meno che mai poesia.

Intimamente, dubito che un’intelligenza priva di fisicità, terminazioni nervose, risonanze emotive ed esperienze di vita potrà mai essere autenticamente creativa; sono però convinto che il mondo stia, nuovamente, per affrontare un cambiamento epocale e che tutti, volenti o nolenti, dovremo essere pronti ad affrontarlo.
Sempre nell’Arte della Guerra, Sun Tzu consiglia di scegliere con attenzione le battaglie da combattere, valutando le situazioni in cui è possibile ottenere una vittoria vantaggiosa, implicando, di conseguenza, di evitare scontri con avversari che non si possono superare. La storia ci ha dimostrato che quando irrompono sul mercato del lavoro simili disruptive technologies rimane poco da fare se non adattarsi velocemente. Il mio consiglio spassionato ai professionisti della scrittura (tra i quali indegnamente mi annovero) è quello di attivarsi senza indugio e imparare a usare gli strumenti che le nuove tecnologie ci mettono a disposizione, soprattutto quando sono così potenti e anche se non ci piacciono.
Probabilmente, molte posizioni lavorative saranno eliminate, tuttavia credo che il valore aggiunto che una persona ‘in carne e ossa’ adeguatamente preparata è in grado di offrire farà sempre la differenza, esattamente come avviene in molti altri settori produttivi già travolti dall’automazione (pensiamo all’artigianato artistico) e che oggi conoscono una nuova età dell’oro, grazie alla capacità di garantire quel che Bruce Springsteen in una classica e meravigliosa ballata chiama human touch:
Baby, in a world without pity
Do you think what I’m askin’s too much?
I just want to feel you in my arms
Share a little of that human touch
Share a little of that human touch
Feel a little of that human touch
Feel a little of that human touch
Give me a little of that human touch
Give me a little of that human touch…

Fondamentale sarà per tutti (e a maggior ragione per i creativi della scrittura) non perdere il tocco umano. Per farlo è essenziale leggere, confrontarsi continuamente con i grandi autori, in particolare con i classici, anzi diventare noi stessi i classici. Nel distopico mondo di Fahrenheit 451 i ‘reietti’ difendono la propria umanità imparando a memoria i grandi libri e assumendone, in senso esistenziale, l’identità. Umberto Galimberti, filosofo e psichiatra di fama internazionale, sostiene che l’educazione emotiva passa anche e soprattutto attraverso la lettura dei grandi romanzi, esercizio che “permette di definire le proprie emozioni, confrontandole con quelle degli altri e imparando, in tal modo, a gestirle”.
Seguire questo esempio, custodire la loro memoria e perpetuare la pratica della loro lettura, assume la dimensione di una autentica forma di ‘resistenza’, capace di dotare gli esseri umani degli strumenti necessari per continuare ad essere creativi e non essere mai assimilati e in ultima istanza sostituti da quelle macchine che, dietro la maschera dell’intelligenza (seppur artificiale), nascondono apparati tecnologici iper razionali ai quali non ci possiamo definitivamente consegnare perché hanno come unico e totalitario scopo quello di replicare se stessi, all’infinito.
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- Chat Gpt 451 - Giugno 9, 2023