Chi ha paura dei cambiamenti climatici? Fondazione Prada propone a Venezia una riflessione sul tempo nell’arte in epoche diverse.

Fondazione Prada apre negli spazi di Ca’ Corner della Regina a Venezia Everybody Talks About the Weather, a cura di Dieter Roelstraete un progetto che guarda al futuro – non a caso in concomitanza con la 18. Biennale Architettura, The Laboratory of the Future – pienamente consapevole della condizione climatica attuale. Lo spettatore si trova di fronte a un’esposizione studiata minuziosamente, colma di rimandi e riferimenti, tra passato e presente. Tema fondamentale è la rappresentazione di cambiamenti climatici – cause e annesse conseguenze – attraverso il tempo e lo spazio, da diverse prospettive e punti di vista. Dall’evocazione del sublime in Caspar David Friedrich, alla tempesta del progresso.
La mostra si sviluppa sui due piani di Ca’ Corner, costellata di allarmanti didascalie – chiaro riferimento alle prime pagine di giornale – e approfondimenti scientifici realizzati in collaborazione con il New Institute Centre For Environmental Humanities (NICHE) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Una vasta selezione di opere contemporanee e storiche parla del tempo, in un discorso che, ricco di riferimenti, si propone di porre l’attenzione e risvegliare consapevolezza nello spettatore.

Tutti parlano del tempo, noi no è lo slogan apparso sul manifesto della Sozialistischer Deutscher Studentenbund nel 1968. Decenni più tardi, questa frase è mutata, si è evoluta in Tutti parlano del tempo, anche noi, in un manifesto realizzato dall’artista tedesca Anne-Christine Klarmann nel 2019. I due affiches, in dialogo l’uno davanti all’altro, aprono la mostra.
Da qui il titolo e il punto di partenza dell’esposizione: il tempo. Il tempo ma anche il clima, l’elemento di conversazione disinteressato ma anche l’incombenza di una problematica globale. Se cinquant’anni fa parlare di eventi meteorologici costituiva una distrazione rispetto a tematiche di portata maggiore, oggi discutere del clima è necessario. Soprattutto, farlo in una mostra dal duplice volto, tra arte e scienza, tra passato e presente. Sembra evidente come l’obiettivo principale dell’esposizione sia invitare a Guardare in alto – citando il catastrofico film Don’t Look Up -. Ecco perché il bombardamento di informazioni e immagini, concetto ripreso anche nell’allestimento, nella scelta dei pannelli come giornali o degli schermi con previsioni meteorologiche in loop.

Fondazione Prada mostra un approccio transdisciplinare, unisce una ricerca dei fatti prettamente scientifica a un’indagine generale sull’umano, grazie all’arte. Il cambiamento climatico è un insieme di fattori e dati, ma anche la percezione dell’artista. Così, il tempo è tutt’altro che un discorso circostanziale: diventa, sia nel contenuto che nella metodologia, un’analisi approfondita della realtà.
Le didascalie mettono in relazione prima e dopo, eventi distanti nel tempo ma anche uniti da un fattore comune, da un’incidenza metereologica. Per questo, l’esposizione non si ferma a una nuova narrazione del cambiamento climatico, ma apre a considerazioni altre, fino all’analisi dell’identità umana in una posizione ambigua, tra artefice e vittima degli eventi.

Il clima merita, oggi più che mai, un’indagine ad hoc, una presa di coscienza da parte dello spettatore – ormai costantemente tempestato dalle immagini di catastrofi naturali -. È così che Fondazione Prada affida alla scienza il compito di informare, all’arte quello di smuovere le coscienze.
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