La mostra a Palazzo Reale, tra illusioni, intrattenimento e grandi inquietudini.
Partiamo da un dato certo: Oltre la soglia di Leandro Erlich (Buenos Aires, 1973) a Palazzo Reale a Milano fino al 4 ottobre è già una mostra da record. Per i numeri di visitatori, un’eredità che l’artista argentino porta con sé in tutte le esposizioni in giro per il mondo. È tra le più instagrammabili e condivise, con quasi 63 milioni di menzioni dell’hastag #leandroerlich. È un grande parco dei divertimenti e l’emblema dell’opera d’arte nell’epoca dell’iper-riproducibilità social. Ma non solo.

Partiamo da Bâtiment, inizio e fine della mostra, summa del progetto di opera partecipata; una facciata di palazzo che Erlich ha creato quasi vent’anni fa a Parigi e che, in ogni città, cambia e si arricchisce di dettagli di architetture locali. A Milano diventa un Palazzo su cui stendersi per specchiarsi nella grande superficie riflettente perpendicolare. Come per le altre installazioni l’opera funziona solo se il pubblico partecipa. Le persone sono le vere protagoniste, mentre si affannano in una messinscena per trovare la posa più curiosa, più divertente, mentre simulano cadute, cercano appigli tra parapetti, ringhiere, la salvezza in cornicione di pochi centimetri. Mentre il mondo cade, la gente ride e l’unica preoccupazione è lo scatto perfetto. Stessa vertigine e capovolgimento sono generati dalla tromba delle scale di Infinity Staircase (2005), mentre straniamento e disorientamento sono al centro di una “giostra di specchi” fatta di camerini, di saloni di parrucchieri perfettamente speculari (Hair Salon, 2008), di barche che galleggiano sul nulla grazie alla simulazione di un movimento programmato da computer, di nuvole conservate in teche, di piogge e temporali improvvisi che scoppiano all’interno di una minuscola stanza.
E ancora videoinstallazioni che creano attese eterne per ascensori (Elevator pitch, 2011) e viaggi impossibili in metro tra Tokyo, Parigi e New York (Global Express, 2011). Tutto è illusione, ma saperlo non ci mette al riparo dal disagio che è in grado di generare.

Un successo annunciato, si diceva. E non poteva essere altrimenti, anche grazie ad alcuni dei protagonisti di un progetto: dalla curatela di Francesco Stocchi alla partecipazione di Galleria Continua al catalogo alla sponsorizzazione di VeraLab, il brand di Cristina Fogazzi, aka Estetista Cinica: imprenditrice di successo, sostenitrice di istituzioni museali con cui ha realizzato campagne di marketing turistico, autrice di un libro sui luoghi d’arte d’Italia e, non ultimo, una collezionista microscopica – si definisce lei – ma che può vantare tra le sue opere anche una nuvola di Erlich. Perché ogni cosa è illusione. Ma certamente, ancora prima, è comunicazione.
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