A Madrid c’è ancora chi conosce il valore della parola mecenatismo.
Questa è la storia della passione di un padre, di una stella, l’Aldebaran – una delle più luminose visibili in cielo – di una barca a vela, di tre fratelli – con esattezza un maschio e due femmine – e di una collezione d’arte. Narreremo questa storia dalle calli di Venezia, anche se il racconto è ambientato completamente in Spagna, esattamente tra la Galizia e Madrid.
Iniziamo.
Sono circa le 20.30, l’aria è calda. In questi giorni tutta l’Italia è avvolta da una forte ondata di calore, la chiamano “Caronte”, come il celebre traghettatore delle anime dell’inferno. È sabato 15 luglio e a Venezia si celebra il Redentore, la festa più sentita dai veneziani. Per ricordare la fine della pandemia di peste del 1577, ogni anno viene costruito un ponte galleggiante che collega l’isola della Giudecca con Venezia. Centinaia di migliaia di persone arrivano da ogni parte del mondo per assistere ai fuochi d’artificio che nella notte tra il sabato e la terza domenica di luglio illuminano la città, creando un’atmosfera unica. I canali sono pieni di barchini, le piccole imbarcazioni utilizzate dai veneziani per muoversi agilmente sull’acqua, e le fondamente (le strade che si affacciano sui canali) sono scandite da un alternarsi di tavoli in legno apparecchiati con cibi preparati in casa e alcolici di ogni tipo.
Mi trovo con un gruppo di amici, sono seduto su una borsa termica rigida, piuttosto scomoda e accanto a me si parla solo spagnolo. Su uno sgabello che non sembra tanto più comodo della mia seduta, c’è un ragazzo, un uomo, i suoi tratti lo tradiscono, la capigliatura è riccia e al collo indossa una catenina d’argento. Sorride mentre sorseggia del prosecco, dice che lo mette di buon umore e ogni volta che torna a Venezia ne ordina sempre almeno una bottiglia. Si chiama Victorino Rosón Diez-Feijóo, è nato a Madrid nel 1990 e insieme alle due sorelle María e Caterina gestiscono la Colección Aldeba-ran, che nel panorama spagnolo è una delle collezioni più interessanti, non solo per le opere che anno-vera al suo interno, ma anche per l’attività di vero mecenatismo e per l’assidua ricerca di giovani talenti che porta avanti.

Davanti a noi sono ormeggiate numerose barche a vela, siamo in Giudecca e dalla nostra posizione si vedrebbe perfettamente il campanile di San Marco se non fosse per tutti gli alberi maestri che, ondeggiando cullati dalle onde del canale, ci coprono la visuale.
«Mio padre ne aveva una molto simile a quella» – mi dice Victorino.
Nel tepore della luce soffusa dei lampioni di Venezia, vedo che il suo braccio si allunga alla ricerca di una barca a vela molto grande. Sembra davvero bella, anche se per come continua a ondeggiare preferisco essere qui, seduto sulla mia borsa frigo in plastica senza alcuna onda che mi muova.
«Passavamo molto tempo nella casa sulla spiaggia in Galizia e spesso ce ne stavamo sulla barca a vela, l’Aldebaran, per fare escursioni in mare aperto» – continua Victorino. «Ricordo che un’estate mio padre invitò Vari Camrés, un noto fotografo spagnolo, a trascorrere una giornata con la nostra famiglia, affidandogli il compito di documentare quell’intera giornata, dalla mattina alla sera sulla barca. Mangiò con noi, cenò con noi, fu un’esperienza unica». «Mio padre era così, riusciva a creare sempre la dinamica giusta per metterci in connessione con il mondo dell’arte, anche se in realtà non è che avesse molto appiglio né su di me, né su Caterina, che era troppo piccola per comprendere quello che mio padre aveva creato. Forse l’unica che si rendeva conto di quelle azioni era mia sorella María, la più grande dei tre, ma fino a quando non se n’é andato nessuno di noi ha avuto idea di cosa, nostro padre, fosse riuscito a creare.»
« Ricordo che a casa nostra non era insolito trovare un artista a pranzo o a cena o qualche fotografo in salotto con mio padre a chiacchierare, per non parlare di tutte le gite nelle principali fiere mondiali o kermesse internazionali. Insomma, mio padre ci ha provato in tutti i modi a trasmetterci la passione per l’arte e forse, oggi, posso dire che ci è riuscito».
Victorino, María e Caterina sono i tre figli di Victorino Rosón Ferreiro, un ottimo avvocato e imprenditore spagnolo, oltre a essere stato un importante esponente del Partito Demócrata Liberal, quel movimento che poi sarebbe confluito nel ben più noto Union De Centro Democratico. Una classe politica molto diversa da quella di oggi, altri costumi, altre forme di comunicare e di parlare.
Victorino Rosón Ferreiro era originario della Galizia, la regione più estrema della Spagna, quel lembo di terra bagnato dall’oceano e colorato da paesaggi meravigliosi. È da quella regione che nasce la sua passione per l’arte, precisamente negli anni Ottanta, quando Victorino entra a contatto con la cultura, diventando Director General de Cultura de la Xunta de Galicia, un incarico paragonabile al nostro assessorato regionale dei beni culturali. Da quel momento la sua passione si fa concreta e inizia a collezionare principalmente opere di paesaggisti galleghi. Anno dopo anno la collezione prende forma e si amplia con l’acquisto di artisti concettuali e minimalisti, nazionali e internazionali, del calibro di Ignasi Aballí, l’artista che ha rappresentato la Spagna nell’ultima Biennale d’Arte del 2022, Robert Barry, Vik Muniz, Lawrence Weiner, per poi proseguire con autori come John Baldessari, Antoni Tàpies, Olafur Eliasson, Carsten Höller, Douglas Gordon, Jonathan Monk o Thomas Ruff.

Una passione portata avanti per più di quarant’anni, in silenzio e con grande umiltà, così come mi racconta suo figlio. Victorino Rosón Ferreiro era una persona molto ermetica, che non aveva bisogno di sbandierare il valore della collezione che stava creando. Non è un caso che dovremmo aspettare il 2012 per il suo primo riconoscimento ufficiale: ARCO lo premia per il suo lavoro nel mondo dell’arte, un risultato che tra i collezionisti italiani è stato raggiunto solo dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
La Colección Aldebaran nasce con l’intento di essere un progetto per promuovere iniziative socio-culturali nell’ambito dell’arte in Spagna, combinando i due elementi fondamentali che dovrebbero caratterizzare una collezione d’arte degna di questo nome: un mecenatismo che sostenga e appoggi gli artisti più giovani, permettendo loro di sviluppare il proprio lavoro mentre studiano e si formano, e un collezionismo in continuo aggiornamento, osservando gli artisti più innovativi della scena contemporanea.
La passione di un padre può diventare anche quella dei figli?
In certi casi sì. Dopo la scomparsa prematura di Victorino Rosón Ferreiro, María, Victorino e Caterina comprendono realmente quello che il loro padre era riuscito a creare in quarant’anni. Non hanno dubbi: quella collezione deve essere protetta, organizzata e ampliata. Inizia così questa nuova sfida, tre fratelli, giovani, ma allo stesso tempo tenaci, capiscono che è il momento di prendere in mano l’eredità del padre e di proseguire quel lavoro.
Da quel tragico 2016 a oggi, la collezione si è arricchita, è stata organizzata e si è dotata di una struttura capace di mantenerla salda con il passare degli anni. Sono numerose le Fiere con cui la Colección Aldebaran collabora, è sufficiente citarne due come Art Basel e ARCO, per non parlare dei progetti in collaborazione con altre importanti istituzioni e Università internazionali.
Per scelta non hanno una sede fisica dove mostrare la collezione, ma sono in continuo movimento con prestiti e trasferte in giro per il mondo. Il lavoro di questi tre fratelli è incredibile: sono riusciti a non tradire quelli che erano i capisaldi del padre portando avanti l’idea di un mecenatismo concreto, pronto a sostenere giovani artisti.
Victorino mi racconta degli ultimi acquisti, si parla di artisti del calibro di Sarah Lucas, Tomás Saraceno, Miriam Cahn, a cui si aggiungono alcuni nomi di giovani pittori del mondo africano come Samuel Olayombo e Emmanuel Taku. Oltre a questa lista ci tiene a citarmi anche due nuove promesse come Carlos Pesudo e Pablo Linsambarth.
Mentre Victorino mi racconta tutta questa storia, capisco che più che una collezione sono una vera e propria fondazione che opera nel campo della cultura a 360°.
Quando gli chiedo dei progetti futuri la sua voce non si ferma neanche per un secondo, è diretta e decisa, come quella di chi sa già cosa rispondere. Nel 2024 la loro Colección aprirà in Ecuador, Paese con cui hanno grandi legami, una residenza d’artista incentrata sul cambiamento climatico e sul concetto di natura. Dopo la stagione delle piogge, a giugno, due artisti – uno dell’Ecuador, per sostenere la scena artistica dal Paese ospitante, e uno proveniente da qualsiasi altra parte del mondo, – saranno invitati a vivere per un mese immersi nella natura, a contatto con le foreste ecuadoriane. L’intento è quello di selezionare artisti giovanissimi che non hanno ancora fatto il loro ingresso nel mondo dell’arte o che devono ancora iniziare il loro percorso professionale tra gallerie, fiere ed esposizioni. Conclusa la residenza i due artisti scelti saranno invitati a esporre a Madrid in luoghi prestigiosi e con un pubblico di professionisti del settore.

È una storia molto bella e la trama è quella di un collezionismo quasi estinto, o almeno davvero raro.
I volti delle persone si sollevano verso l’alto, da nord si sente provenire un forte boato. Il silenzio cade intorno a noi, fino a quando un secondo tuono illumina il cielo. Lo spettacolo pirotecnico organizzato per la Festa del Redentore ha inizio. La barca che Victorino mi aveva indicato adesso è ferma, sicura, immobile, anche l’acqua sembra che si sia calmata di fronte a quella pioggia colorata che cade dal buio della notte. L’orizzonte è pieno di tante stelle luminose che rendono il cielo simile a una tela nera piena di colpi di colore accesso.
LINK
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