Biennale Teatro: tra performance e spazio

Intervista a Gianni Forte, co-direttore Biennale Teatro 2023

Il 51. Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia si è appena concluso. Emerald, questo il titolo scelto dai direttori Stefano Ricci e Gianni Forte (ricci/forte) ispirandosi a Emerald City, la città dei prodigi del paese di Oz, ha invitato il pubblico a percorrere un viaggio nello stupore, ma con l’urgenza di farsi cassa di risonanza di questioni urgenti e vitali per l’umanità. E’ stata un’edizione ricca di performance e installazioni artistiche che hanno dimostrato ancora una volta quanto i confini tra teatro, arte contemporanea, architettura, danza siano più delle “etichette” che delle reali demarcazioni. Abbiamo intervistato Gianni Forte, e abbiamo chiesto a lui un bilancio a caldo su questa edizione, che ha visto sulla scena i protagonisti più importanti della scena teatrale contemporanea.

Perché così tanto interesse per le performance e l’installazione artistica nei lavori che sono presentati quest’anno?

Quando si parla di performance è come se si volesse attraversare un profilo di luce imprendibile, entrare in una zona più “indomabile” e contemporanea del teatro. Ci si avvale della parola performance per dare un tocco hic et nunc, per spalancare una finestra sulle visioni dell’Oggi. Per essere sintetico, direi che la differenza tra teatro e performance è molto semplice: in teatro ci sono attori che ripetono, enunciano, “poetizzano” le parole che uno scrittore contemporaneo o del passato ha scritto per loro. C’è una sorta d’interpretazione, che definirei “passiva”, di un personaggio e ci si nasconde dietro una maschera. Nella performance non ci sono personaggi ma persone vere, in carne ed ossa. Questo tipo di azione conduce a una particolare scrittura teatrale, che in francese si chiama écriture plateau: è un’indagine collettiva basata su esperienze reali, vissute, o inventate al momento, dai performers. Non più attori “passivi” ma “creativi”, corpi che si schiudono, persone che agiscono attivamente a partire dalle proprie emozioni, sbottonandosi, aprendo la propria pelle, per intraprendere un viaggio insieme al regista/autore che ha chiesto loro di fare questo cammino. Negli spettacoli invitati al festival la performance è connessa, quindi, con l’estemporaneo, non è più una replica quotidiana di un qualcosa che è già stato stabilito in passato.

FC Bergman, The Land of Nod, ph. Serena Lavita
Eppure "quelli del teatro” raramente percepiscono le performance artistiche come parte del teatro…

Partiamo dal fatto che per tutto il tempo che un artista teatrale è coinvolto in prima persona – io lo sono stato fino a tre anni fa quando, nominato co-direttore, ho cominciato a immergermi in questa caleidoscopica avventura che è la direzione di Biennale Teatro – è avvolto da una foschia, concentrato sul suo ombelico e non vede nient’altro che il proprio specifico progetto da portare a termine. Purtroppo i regni del Teatro, della Danza, della Musica, dell’Arte, dell’Architettura, del Cinema, degli Archivi non sono ancora riusciti a fare uno scarto decisivo, a intersecarsi pienamente, oltrepassando i loro transitori confini divisori. In questa 51esima edizione si è fatto un grande passo in avanti, si è cercato di integrare spettacoli di diversa natura come, per esempio, quello dell’ensemble belga FC Bergman, Leone d’Argento di quest’anno: siamo riusciti a trovare, dopo due anni di ricerche, uno spazio non teatrale, un capannone nella zona industriale di Marghera, dove poter presentare “The land of Nod”, a metà strada tra la performance e il teatro-danza. Oppure permettere al duo Noémie Goudal / Maëlle Poésy di incantarci con la performance installativa “ANIMA” al parco della Bissuola di Mestre, o ancora portare la performance “domani” di Romeo Castellucci alla Scuola della Misericordia. Da parte nostra, in quanto direzione artistica, c’è una tenace volontà a voler avvicinare progressivamente e maggiormente arti differenti – non strettamente riconosciute e/o riconoscibili – affinché lo spettatore non resti comodamente seduto in poltrona, come davanti alla TV, e non abbia più una visuale frontale ma di sbieco e a 360 gradi. Mentre il festival in passato durava solo 10 giorni, da quest’anno si protrarrà per due settimane, con delle prospettive ancora più entusiasmanti da esplorare e sperimentare. Noi programmiamo e offriamo al pubblico solo spettacoli che amiamo molto e che condividiamo entrambi al 100%.

Noémie Goudal/Maëlle Poésy, ANIMA, ph. Serena Lavita
Non è un po’ il destino del teatro di uscire, di finire da un’altra parte, da un altrove da sé?

Secondo me, dovremmo superare sempre più le nostre certezze e creare ponti altri se vogliamo che il teatro, presente ormai da millenni, continui ad essere vivo, vegeto e ossigeno per altri secoli ancora. È quanto stiamo tentando di realizzare con i tre Bandi College, soprattutto con quello internazionale per Performers under 40 dedicato alla performance site-specific. Un bando che noi abbiamo inserito e che non esisteva prima del nostro mandato: i due vincitori portano le loro performance all’esterno, nei Campi e nei Campielli. Abbiamo utilizzato Campo Santo Stefano, Campo Sant’Agnese e via Garibaldi per fare qualcosa che comunque già era stato fatto secoli fa nella stessa Venezia. Per questa occasione non è il pubblico che viene a teatro a vedere l’artista, ma è l’artista che attende in Campo lo spettatore ponendosi in conversazione diretta, vis-à-vis, con lui. Il teatro è il “gerundio” della realtà in divenire, deve avere delle crepe, degli squarci improvvisi per poter barbagliare verso l’ignoto, bere fiamme altre, altrimenti rimarrà irreggimentato, un’ambra rinchiusa in un fossile “participio passato” e annasperà, roteando sul perno del Sé come un derviscio ubriaco.

Per quanto riguarda i site-specific siete voi a decidere i luoghi o è la Biennale che suggerisce gli spazi in cui intervenire?

Dal momento che ci vogliono dei permessi speciali, non così semplici da ottenere, la Biennale ci propone tre/quattro luoghi e noi scegliamo, in base ai progetti vincitori, quelli che possono essere i siti più opportuni. Ad esempio, la performance “Swan” di Gaetano Palermo aveva la particolarità che la performer dovesse pattinare e questo tipo di pavimentazione era idonea solo in via Garibaldi. È stato il primo anno in cui abbiamo usato questo crocevia nevralgico della vita del quartiere Castello, con un caloroso riscontro da parte dei cittadini del Sestiere e del pubblico presente. Oggi non c’è la possibilità di adoperare uno spazio site-specific così come vorresti, devi fare per forza degli aggiustamenti: dopo quello che è successo anni fa al Bataclan di Parigi, la gente ha un sentire comune, una “spina” innestata nel suo DNA, ovvero la paura profonda di un pericolo imminente, ragion per cui non è opportuno diffondere ad altissimo volume colpi di arma da fuoco in un luogo pubblico, come via Garibaldi, senza alcun preavviso. Le persone non vogliono sentire dei “rumori” impaurenti, alcune si sono lamentate appunto perché gli spari della performance “Swan” facevano volare via piccioni e gabbiani.

Gaetano Palermo Swan inizio, ph Serena Lavita
Credo che quello che mettete in scena indichi il fatto che c'è l'esigenza di adattarsi a una diversa ricezione del teatro, che per raccontare delle storie non si debba per forza ricorrere alla formula del dialogo tra gli attori su un palco…

C’è un’urgenza da parte degli artisti di esprimersi differentemente, in maniera obliqua. Molti non si servono più della parola, logorata dall’uso, ma si raccontano attraverso un bagaglio di segni e suoni, un immaginario prodigioso, onirico, che ha altrettanta forza e potenza. Non è che se uno non “parla” non incida: si può colpire e segnare intensamente anche solo con un movimento inventivo di danza del “collo del piede” e degli “sfregi” interiori. A partire da questa edizione, c’è un’ulteriore missione che stiamo sostenendo e che andrebbe sottolineata: le mises en lecture dei due vincitori del Bando College Autrici/Autori under 40 dell’anno scorso sono diventate quest’anno due co-produzioni di Biennale Teatro: un investimento fatto per promuovere i giovani “trafficanti di sogni” e “mercanti di bellezza”, dando loro maggiore spazio e visibilità all’interno stesso della programmazione. Ci auguriamo che le mises en lecture 2023 si metamorfizzino in due nuove produzioni anche il prossimo anno. Non so se chi verrà dopo di noi proseguirà su questa strada, ma il fatto che la Biennale Teatro, aprendosi a raggiera, sia diventata una “bottega”, alla maniera rinascimentale, in cui attraversare i plurali territori dell’arte, creare e produrre operazioni di valore, è un tentativo raggiante di quanto stiamo provando a fare durante il nostro mandato perché, come affermava il poeta tedesco Benn Gottfried, “lo stile è superiore alla verità, porta in sé la prova dell’esistenza”.

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