Artisti, colori, idee e biodiversità dall’Amazzonia a Milano
Un progetto espositivo per provare a ripensare, ridisegnare gli equilibri tra l’uomo e la natura. Una proiezione e un’allegoria di un mondo possibile, un multiverso egualitario di popoli viventi, umani e non umani, per citare Bruce Albert, antropologo e co-direttore artistico della mostra. Siamo Foresta alla Triennale di Milano (fino al 29 ottobre 2023) offre uno spaccato su un ecosistema che desidera superare l’antropocentrismo e la prevaricazione dell’uomo sull’ambiente, lo sfruttamento indiscriminato delle sue risorse, pensando a una esistenza volta alla convivenza egualitaria tra tutti gli esseri che popolano la terra, dall’uomo all’animale al vegetale.
Una visione poetica e animistica che, soprattutto, dà voce e corpo alle urgenze del nostro tempo, a cui l’arte contemporanea e la comunità artistica sono chiamate a dare, ora più di prima, un contributo, una visione.
Si tratta di temi, necessità e riflessioni che oggi, insieme alla sempre più ampia proposta di autori extra-occidentali, talvolta veri outsiders del mercato e dei circuiti collezionistici, hanno guadagnato sempre più spazio nei maggiori centri internazionali dell’arte. Solo per fare degli esempi, basta tornare con la memoria alla Biennale d’Arte black/indigena/femminista/anticolonialista del 2022 – un trend che pare confermato dalla futura curatela di Adriano Pedrosa con Stranieri ovunque e dalla scelta confermata di artisti sudamericani e nativi – oppure, sempre a Venezia, a Everybody Talks About the Weather attualmente in corso alla Fondazione Prada: sono tra i progetti che riflettono su quanto stia accadendo a livello globale, sul bisogno di riconsiderare il nostro rapporto con il mondo e tra le comunità di esseri viventi, il nostro impatto sul clima, e soprattutto, che intendono dimostrare come l’arte, la cultura e l’informazione debbano essere coinvolti nel dare una risposta sull’attualità. Arrivando e parlando, il più possibile, a tutti.

Nella sua genuina costruzione, dinamica e scenografica, sembra essere proprio questo lo scopo principale di Siamo Foresta, mostra che occupa l’intero primo piano della Triennale Milano; complice l’affascinante allestimento realizzato dall’artista brasiliano Luiz Zerbini, dove le opere di autori provenienti (anche) dalla foresta pluviale sudamericana emergono tra le fronde di piante tropicali. Un invito sincero verso la scoperta costantemente attiva, che evidenza la pura bellezza di un rapporto ancestrale con la natura, dove prendono forma connessioni rizomatiche e antigerarchiche, sguardi privi di sovrastrutture.
Con una richiesta rivolta a tutti: entrare, senza preconcetti, a far parte di un organismo vivente con una nuova attenzione e partecipazione all’esperienza di scambio.
Sesto progetto espositivo realizzato nell’ambito del partenariato della durata di otto anni tra Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain con la Direzione Artistica di Hervé Chandès, Siamo Foresta vede la partecipazione di ventisette artisti (più della metà, parte della collezione della stessa Fondation Cartier) con momenti collaborativi che fioriscono – è il caso di dirlo – in tre floridi esempi di dialogo e scambio interculturale: quello tra “non indigeni”, difensori, osservatori e protettori della foresta, a confronto con artisti delle comunità dell’Amazzonia dal Brasile, Perù e Venezuela, fino al Nuovo Messico e al Chaco paraguaiano. Persone, prima di tutto, unite da affinità elettive fino ad autentici legami di amicizia, una delle parole che ricorre più spesso in mostra; come quella nata tra Adriana Varejão di Rio de Janeiro e Joseca Mokahesi, yanomami del Brasile, dove l’incontro avvenuto nel 2003 ha dato origine al ricco immaginario condiviso di ispirazioni sciamaniche. Più recente è l’intesa tra il pirotecnico artista di origine cinese Cai Guo-Qiang e la yanomami brasiliana Ehuana Yaira. Mentre nella primavera del 2023 ha preso vita la generosa liaison tra il francese Fabrice Hyber – che da 30 anni semina, coltiva e cura una vasta foresta temperata nella Vandea – e Sheroanawe Hakihiiwe, yanomami nell’Amazzonia venezuelana (e, vedi sopra, tra gli artisti rappresentati alla Biennale d’Arte del 2022) che nel bosco-laboratorio de La Vallée ha soggiornato, realizzando a quattro mani con Hyber le monumentali tele che accolgono i visitatori all’ingresso della mostra milanese.

Un percorso emotivo in cui scorrono echi del mito e narrazioni perdute, tra i disegni di Efacio Álvarez, Angélica ed Esteban Klassen, artisti Nivaklé provenienti dal Chaco paraguaiano; dove pulsano storie, nel contrasto bianco/nero di Floriberta Fermin e Solange Pessoa (anche lei rappresentata nella Biennale di Cecilia Alemani); tra i colori vibranti del bestiario di Bruno Novelli e l’immaginario tra reale e fantastico di Alex Cerveny che prende forma direttamente sui muri del palazzo; intriso dagli spiriti del brasiliano yanomami André Taniki, dalle sagome scultoree di bromelie sudamericane di Santidio Pereira, il più giovane artista in mostra, accanto ai personaggi femminili di Ehuana Yaira, alle fitte trame cromatiche dell’esponente MAHKU – Huni Kuin Artists Movement Cleiber Bane, alle visioni oniriche di Jaider Esbell, all’immaginario fitomorfo della colombiana Johanna Calle. Un patrimonio prezioso che attinge al mito e all’antico per guardare ad un possibile futuro, più giusto per gli uomini e per la Terra.
E per ricordarci che in fondo, siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatte le foreste.
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