A Palazzo Strozzi prende forma l’irrealtà di Anish Kapoor

Il maestro che ha rivoluzionato l’idea di scultura nell’arte contemporanea torna in Italia, questa volta a Palazzo Strozzi, con una mostra dove l’inverosimile diventa realtà.

Un percorso alla scoperta di ciò che è reale e di quello che non lo è: è questo il senso di Anish Kapoor. Untrue Unreal, l’attesissima nuova mostra dello scultore britannico negli splendidi spazi di Palazzo Strozzi a Firenze (fino al 4 febbraio 2024). Ogni sala mette in discussione i nostri sensi e ci invita a scoprire qual è il confine tra vero e falso in un percorso formato da grandi installazioni e forme conturbanti che rompono e, allo stesso tempo, dialogano con le geometrie razionali del palazzo rinascimentale.

Arturo Galansino (Direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra, ndr) è un po’ matto – racconta Anish Kapoor in conferenza stampa – anche solo per aver immaginato di far passare all’interno del palazzo una montagna di cera. È stato stimolante per me mettermi alla prova con la struttura di questo palazzo, che ha una rigida successione di ambienti: la difficoltà di questa mostra è stata decidere di assecondarla e di interromperla.

Svayambhu, 2007, cera, vernice a base di olio, ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Un susseguirsi di opere storiche e recenti, all’insegna dell’irreale (unreal) e dell’inverosimile (untrue) tipici dell’arte di Kapoor che parte dalle scoperte tipiche del Rinascimento, quali la prospettiva e il drappeggio, per annullarle attraverso i materiali con cui lavora come pigmento, pietra, cera, acciaio e silicone. Per non parlare del colore, che per l’artista diventa un fenomeno immersivo dotato di una sua capacità allo stesso tempo evocativa e illusoria: non potevano mancare le opere con il suo caratteristico rosso sangue e le sculture realizzate in Vantablack, un materiale altamente innovativo capace di assorbire il 99.9% della luce visibile: usando questo colore su un qualsiasi oggetto, lo rende praticamente impercettibile all’occhio umano e lo smaterializza. La domanda sorge spontanea: l’oggetto allora è reale o no? Esiste o non esiste?

La risposta è negli occhi di chi guarda. La prima opera che ci sorprende è nel cortile interno di Palazzo Strozzi, dove Kapoor ha eretto il suo padiglione Void Pavillion VII: un cubo caratterizzato da un bianco assoluto sulle cui pareti sono scolpite tre forme nere. La prospettiva è annullata e l’effetto è straniante e riflessivo. E siamo solo all’inizio.

Void Pavilion VII, 2023, tecnica mista, vernice, ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Salendo al primo piano, inizia la mostra vera e propria: è qui che ci accoglie l’iconica opera Svayambhu, termine sanscrito che definisce ciò che si genera autonomamente, la montagna di cera rosso sangue di cui parlava Kapoor, che si muove – un centimetro al secondo – su due binari tra due sale di Palazzo Strozzi. Esposta per la prima volta nel 2007 al Musée des Beaux-Arts di Nantes in Francia, l’opera si fa strada tra le porte rinascimentali del palazzo e lentamente si consuma. A questa segue l’Endless Column, un’immensa colonna rosso acceso che sembra oltrepassare i limiti del pavimento e del soffitto creando così un legame continuo tra terra e cielo.  

Ma è nella sala successiva che Kapoor ci mette in crisi con una serie di lavori rivoluzionari e di forte impatto che ci spingono a interrogarci sugli oggetti e sulla loro immaterialità. L’effetto creato da Non-Object Black e Gathering Clouds, caratterizzate dall’uso del Vantablack, non può essere descritto a parole: solo guardandole dal vivo e muovendoci intorno ad esse notiamo le forme e gli oggetti fisici.  

Gathering Clouds, 2014, fibra di vetro, vernice, ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Il motivo della piega nella pittura rinascimentale era un segno dell’essere – spiega Kapoor – ma se c’è una piega in un tessuto nero, non la distingui. Attraverso la cancellazione del contorno e del bordo ci viene offerta la possibilità di superarlo. Beyond being, oltre l’essere.

Non potevano poi mancare i temi ricorrenti di Kapoor come la carne, il corpo e il sangue: un’intera sala è dedicata a opere in cui l’artista si confronta con un’intimità devastata, proponendo la recente A blackish fluid excavation, che ricorda un cavo uterino contorto ma anche un membro maschile, e una serie di forme fluide che sembrano masse viscerali dotate di vita propria.

A Blackish Fluid Excavation, 2018, acciaio, resina, ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

A seguire altre tre opere che ci destabilizzano: tre specchi, Vertigo, Mirror e Newborn, riflettono in modo diverso la nostra figura ingrandendola, riducendola e moltiplicandola creando una sensazione di irrealtà e destabilizzazione. Questi specchi ci attirano e ci respingono allo stesso tempo, fino quasi a farci venire le vertigini. Anish Kapoor. Untrue Unreal si conclude con la sala dedicata all’opera Angel del 1990, formata da grandi pietre di ardesia ricoperte da uno strato di pigmento blu intenso.

In uno dei suoi tanti cataloghi, Kapoor scrive: se l’arte ha a che fare con qualcosa, è senz’altro la trasformazione. Non si tratta solo di cambiare strato alla materia, ma anche di qualcosa di più profondo e nascosto. Non so se, uscita da questa mostra, posso dire di sentirmi trasformata, ma le opere di Kapoor mi hanno certamente spinto a interrogarmi sulla perdita di sé e sulla presenza del vuoto come condizione di inizio e non di fine.

Newborn, 2019, acciaio inossidabile, ©photoElaBialkowskaOKNOstudio
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Francesca De Pra
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