Alla Peggy Guggenheim Collection la mostra Marcel Duchamp e la seduzione della copia esplora i molteplici approcci adottati dall’artista per duplicare le proprie opere senza soccombere alla pura e semplice copia
Vi siete mai approcciati agli scacchi? Questa domanda può sembrare senza senso ma serve, per quanto mi riguarda, a capire meglio la persona di cui sto per scrivere: Marcel Duchamp.
Tutto il mondo conosce Duchamp prima come membro illustre del dadaismo e poi come il grande genio che ha sdoganato l’arte concettuale, per alcuni addirittura l’arte contemporanea, generando “figli e figlie” in carovana come: Cattelan, Hirst, Koons, Sarah Lucas etc., e cito solo quelli più famosi ma credetemi sono davvero tantissimi, fino ai giorni nostri.
Il “papà” del ready made però nasce pittore – molto bravo, tra l’altro, non uno che il pennello non lo sa usare, anzi -, ma capisce con il tempo che quella non è la sua strada, lui sa di essere forte nel pensare, nel riflettere, nell’analizzare: un pensatore insomma.
Perché parto dagli scacchi? Perché Marcel oltre ad essere tutto quello di cui tutti sappiamo, era anche un fine giocatore di scacchi tanto che nel 1923 decide di prendersi una “pausa” dall’arte per dedicarsi intensamente al tavolo a quadrati bianchi e neri e ai suoi pezzi.
Perché? Perché giocare a scacchi implica saper pensare, ragionare, immaginare, creare movimenti, strategie e tanto ancora; cose di cui Duchamp era già abile maestro nelle arti.
Quello che mi sono sempre chiesto è se i suoi “discepoli”, gli artisti che sono arrivati dopo di lui, fossero degli abili pensatori come il grande padre, oppure dei semplici furbi aiutati da un sistema che doveva generare introiti, in periodi storici di bassa creatività e guadagni.

Duchamp pensava, e alla grande, verso nuovi modi di intraprendere l’arte e di capirla, quella sua capacità di smontare qualcosa di così solido con secoli di tradizione come l’arte per renderlo concettualmente aperto a tutti, trasformandolo in innovatore, in genio.
Eppure, non ci è arrivato in maniera così facile, no per nulla, ha impiegato molti anni, quegli anni di silenzio dalle mostre e immerso negli scacchi o nel caffè (altra grande sua passione), pensieri su pensieri che si sono poi concretizzati nella famosa opera dell’orinatoio che poi non firmò neanche per non rischiare troppo forse? Chissà. Eppure, la sua Fountain (fontana del 1917) ha dentro di sé un pensiero forte, la chiusura nei confronti dell’arte “ordinaria” per guardare all’arte “non ordinaria”, un pensiero forte che per l’epoca non era di facile digestione ma che con il tempo lo sarebbe diventato. Mi sono sempre chiesto se lesse i testi sulla serialità dell’opera d’arte di Walter Benjamin e se fosse d’accordo con lui o se il famoso filosofo, scrittore, critico letterario tedesco sapesse del pensiero di Duchamp. I due si incontrarono per davvero e Duchamp mostrò a Benjamin le sue idee, chissà quanti pensieri si sono scambiati e quanto fossero d’accordo: chissà.

A Venezia, alla Peggy Guggenheim Collection, con la mostra Marcel Duchamp e la seduzione della copia, questi pensieri si sono fatti forti dentro di me, proprio perché entrare nella mente di un genio è non solo affascinante ma ti fa capire anche quanto di immenso c’è nel generare e creare qualcosa di nuovo, qualcosa a cui nessuno ha mai pensato.
Marcel Duchamp e la seduzione della copia esplora i molteplici approcci adottati dall’artista per duplicare le proprie opere senza soccombere alla copia pura e semplice. L’esposizione gira intorno a vari temi tra loro correlati – origini, originali e somiglianze di famiglia; il passato è un prologo; la magia del facsimile; copie autentiche; disciplinare e rendere più audace la mano; clonare il sé, vestire l’altro; ripetizione ipnotica; temi e variazioni – e intorno all’opera Scatola in una valigia, raccolta innovativa di riproduzioni e repliche in miniatura dei lavori di Duchamp, prima di un’edizione deluxe di venti valigette da viaggio.
Scatola in una valigia è la sintesi più coinvolgente mai creata dall’artista della sua passione per la replica come modalità di espressione creativa. Con una tale panoramica si può cogliere la portata straordinaria dell’ossessione di Duchamp per la copia come mezzo specifico di espressione artistica e comprendere fino a che punto le sue creazioni bizzarre e spesso ibride abbiano confuso e talvolta del tutto eluso le classificazioni artistiche in uso al momento in cui furono create.
Una mostra come poche, una mostra in un’unica copia.
LINK
- In Laguna all’Hotel Il Palazzo Experimental - Novembre 24, 2023
- Questa è la storia di Antares e del più noto Extra Ordinario Workshop - Novembre 24, 2023
- Josh Rowell: la pittura tra il digitale e il reale - Novembre 24, 2023